Ridurre la terapia dell’obesità a “mangia di meno e muoviti di più”
sarebbe come ridurre la terapia dell’anoressia al semplice “mangia di
più”: difficilmente avremo grandi risultati. Il dialogo
medico/paziente deve, invece, basarsi su un presupposto fondamentale
per il successo della cura: il coinvolgimento, quel rapporto empatico
e di partecipazione alla storia del paziente che lo possono spingere
davvero a impegnarsi per risolvere il suo problema
“Mangia meno e muoviti di più”: se pensiamo di combattere l’obesità
con frasi fatte come questa, allora siamo davvero molto lontani dalla
risoluzione del problema. Se è vero, infatti, che molti sono stati i
progressi, nel corso degli ultimi anni, per meglio comprendere la
scienza della regolazione del peso, se è vero che anche sulle opzioni
di trattamento di sovrappeso e obesità le scoperte sono state
straordinarie, è altrettanto vero che la sfida principale ancora da
affrontare è un’altra e resta aperta: il dialogo medico/paziente.
«Sono uno psicologo della salute che da tanti anni lavora nella
formazione dei medici esperti nella gestione di sovrappeso e obesità»
ci spiega il dottor Michael Vallis «ma non mi occupo della formazione
scientifica, quanto, piuttosto, del lato umano, della parte empatica
fondamentale nella gestione del paziente obeso». Nel momento di crisi
generalizzata sul futuro che purtroppo stiamo vivendo in questo tempo,
il paziente cerca prima di tutto un dialogo con medici e
professionisti realmente interessati al suo caso, empatici e che si
facciano coinvolgere dalla sua storia. Che si prendano cura di lui,
non solo dal punto di vista medico, ma come individuo nel suo
complesso. «È questa la base di partenza indispensabile per ottenere,
col tempo, risultati concreti» ci dice il dottor Vallis «perché il
consiglio di un esperto non cambia gli atteggiamenti del paziente. Il
semplice “non mangiare e muoviti di più” non basta serve altro, serve
empatia, partecipazione, condivisione».
«Rivolgo spesso questa domanda ai medici con cui lavoro, durante le
mie sessioni di formazione, e ricevo sempre 3 diverse risposte: la più
comune è “Perché io sono l’esperto”.
Il parere del medico ha certamente valore, è vero, ma non basta,
perché le emozioni dominano sempre la logica. Ecco che, allora, se
torno a casa con i consigli del medico specialista che mi suonano in
testa, ma poi la mia famiglia mi dissuade dall’ascoltarle, a chi darò
più retta? Le relazioni sono importanti e i legami regolano i comportamenti.
La seconda risposta che mi danno alla domanda “Perché il paziente
dovrebbe ascoltare ciò che gli dici?” è “I miei pazienti sanno che
dovrebbero darmi retta”.
Questo solleva l’eterna
diatriba tra desideri e doveri: ognuno di noi ha un lato emotivo
basato sui desideri e interessato all’ottenimento della felicità. Ma
abbiamo anche un lato logico deputato a calcolare il rapporto
rischio/beneficio di ogni scelta. Secondo voi quale parte è dominante?
Esatto: le emozioni dominano sempre la logica» conclude il dottor Vallis.
«Infine la terza risposta che mi danno: “Il paziente ha ragioni e
motivazioni personali per seguire i miei consigli”. Verissimo: il
paziente ha maggiori probabilità di ascoltare e perseguire
comportamenti coerenti con i suoi valori e le sue convinzioni».
La chiave di volta nella gestione e nel successo della terapia contro
obesità e sovrappeso sta tutta qui: «L’esperienza della persona è la
base fondamentale per il successo del percorso di cura. Ascoltarla e
comprenderla con empatia e coinvolgimento anche umano, oltre che
professionale, è indispensabile per gestire la malattia, per trovare
insieme un percorso di cura che tenga conto della personale storia del
paziente e che ne rispetti valori e convinzioni».
Il dialogo medico/paziente si basa sul presupposto che il primo è
l’esperto, il secondo il soggetto disinformato da educare. «Questo
funziona al Pronto Soccorso o in sala operatoria» spiega lo psicologo
«non certo nell’approccio a una patologia
complessa come l’obesità, perché qui si parla di terapie che non
possono prescindere dalle scelte comportamentali quotidiane del
paziente. C’è un approccio medico che passa dal semplice comando: il
medico ordina, il paziente obbedisce, ma in questo caso non funziona.
La gestione dell’obesità funziona solo in uno spirito di
collaborazione e responsabilizzazione.
Immaginiamo che il nostro medico ci dica “Sono esperto in questa
materia, ma anche tu lo sei. Che ne dici di lavorare insieme per
trovare soluzioni che facciano al caso tuo?”. Non sarebbe
meraviglioso?» chiede provocatorio il dottor Michael Vallis. «A mio
parere è questo l’unico modo per avviare un rapporto proficuo tra
operatore sanitario e paziente, ma purtroppo pochissimi medici lo fanno».