Il grasso intra-addominale potrebbe spiegare perché l’eccesso di peso
sembra un fattore di rischio per una prognosi peggiore, soprattutto
tra i pazienti più giovani affetti da Covid-19. Lo dice una ricerca
universitaria tutta italiana
Molti sono gli studi che attualmente si incentrano sul Covid-19, il
famigerato virus che ha messo in ginocchio il mondo intero e del quale
non ci siamo ancora liberati. Dalle ricerche è emerso che un indice di
massa corporea elevato (Imc) rappresenta un fattore di rischio
importante per una peggior prognosi in caso di positività al Covid-19,
ma questo soprattutto tra la fascia più giovane della popolazione,
mentre in quella più anziana l’andamento clinico della malattia pare
essere meno influenzato dal peso.
L’Università La Sapienza di Roma, grazie al lavoro di una squadra
guidata dalla dottoressa Mikiko Watanabe del Dipartimento di medicina
sperimentale e dal dottor Damiano Caruso dell’Ospedale Sant’Andrea di
Roma, ha recentemente presentato i dati di un lavoro volto ad
approfondire il legame tra indice di massa corporea e Covid, con
risultati assai interessanti, soprattutto in relazione alla situazione
attuale, sempre più critica. Partendo dal presupposto dimostrato che
l’Imc,
perdendo accuratezza nella diagnosi dell’eccesso di grasso corporeo
nella fascia anziana della popolazione, non può essere considerato un
elemento valido per valutare il grado di obesità di un soggetto
anziano, la ricerca dell’università romana ha indagato sulla presenza
di grasso viscerale (intra-addominale), noto per essere la porzione
che contribuisce maggiormente alla malattia metabolica tipica del
paziente con eccesso di peso.
La conclusione alla quale il team di esperti è giunto è che la
quantità di grasso intra-addominale, quantificata attraverso una Tc
toracica di routine a cui sono generalmente sottoposti tutti i
pazienti affetti da Covid, può essere un indicatore prezioso della
composizione corporea dell’individuo. Il grasso viscerale quantificato
attraverso la TC torace è, infatti, un indice della percentuale e
della distribuzione di grasso del paziente. Generalmente la
composizione si valuta attraverso la densitometria o la
bioimpedenziometria, ma entrambe le metodiche erano inattuabili in una
situazione in cui avvicinare il paziente con Covid è complesso sotto
ogni punto di vista.
Lo studio ha poi dimostrato che i pazienti di ogni età -e non
solamente i più giovani- per cui si è resa necessaria l’intubazione
hanno un quantitativo maggiore di grasso viscerale. In particolare,
per ogni aumento pari a un’unità di grasso viscerale, deriva una
probabilità 2,5 volte maggiore di dover essere sottoposti a
intubazione per riuscire a respirare. Il grasso viscerale sembrerebbe,
poi, addirittura più importante dello stato polmonare del paziente
nello spiegare il ricorso a una ventilazione meccanica.
Questi nuovi interessantissimi dati potrebbero consentire
l’identificazione di un predittore clinico fruibile nell’immediato per
quei pazienti più a rischio di sviluppare complicanze respiratorie
legate al Covid-19. E oltre che essere un bene per i soggetti
coinvolti, i
risvolti positivi di questa scoperta sono evidenti anche in
ottica di assistenza sanitaria e ottimale gestione dei posti letto in
terapia intensiva.